Catania, muore Salvo Cannizzo il Marò che denunciò lo Stato
CATANIA – «Lo Stato mi ha abbandonato», aveva dichiarato Salvo Cannizzo appena qualche mese fa, annunciando il suo sciopero della chemioterapia, per mancanza di soldi. «Ho un glioblastoma multiforme, un tumore al cervello di quarto grado, ma ho deciso di non curarmi», annunciò, «voglio vedere se al ministero hanno il coraggio di lasciarmi morire. Dal ministero della Difesa ricevo una pensione di 769 euro. Una miseria, poiché 350 sono destinati alla mia ex moglie e che con gli altri devo mantenere la mia nuova famiglia e pagarmi le cure». Cannizzo è morto a 36 anni. Era un sergente in congedo del battaglione San Marco, considerato uno dei corpi militari più illustri nel panorama italiano. Nato e cresciuto a Librino, quartiere periferico di Catania, scelse di diventare un militare solo «per soldi», eppure non mancava di ripetere che avrebbe rifatto volentieri quella scelta, «perché amavo il mio lavoro».
IN KOSOVO – Arruolatosi nel 1995, quando aveva appena diciotto anni, partecipò alla spedizione del Kosovo tra il 1999 e il 2001. Ricevette diversi riconoscimenti, tra cui la medaglia “croce di guerra” per aver partecipato a tre spedizioni consecutivamente. Dal 2006 inizia il suo calvario. Il primo intervento chirurgico lo costringerà ad abbandonare per sempre il campo, la sua squadra di 9 elementi per un ruolo da impiegato civile al Ministero della Difesa. La malattia però continua a peggiorare e l’ex Marò decide di denuncia pubblicamente la grave condizione degli ex militari vittime delle radiazioni dell’uranio impoverito. «Nel 2000 a Djakovica, in Kosovo – raccontava Cannizzo in una sua intervista – ho visto un carro bombardato e con la carrozzeria dissolta. E degli americani, tempo dopo, che con una tuta da astronauta e un autorespiratore, portavano via delle munizioni. Ora so che era per le radiazioni dell’uranio impoverito, ma a quei tempi io e i miei compagni respiravamo quell’aria a pieni polmoni».
IL RIENTRO A CASA – Tornato a Catania, diventa consigliere di quartiere della “sua” Librino, tra il 2008 e il 2010, muovendosi attivamente nella nona municipalità. Proprio in quegli anni denunciò, nel servizio “I Viceré” di Report realizzato da Ranuccio e Condorelli, le vicissitudini dell’istituto comprensivo “Vitaliano Brancati”. La mancanza di agibilità della struttura succursale, le crepe sui muri, il crollo di soffitti e l’assenza di scale antincendio. Una situazione d’impasse dovuto al pesante indebitamento comunale che non favoriva i lavori di ristrutturazione dell’istituto. Ma la sua più grande battaglia è stata quella contro l’indifferenza dello Stato. Oggi alcuni dei suoi “fratelli”, i suoi ex compagni di reparto, vivono lo stesso calvario. «Cinque malati di tumore in una squadra di appena nove persone, uno di loro è già morto, per un cancro al pancreas». Salvo chiedeva almeno un’indennizzo, un sostegno da parte del Ministero che non è mai arrivato. Solo promesse. Chissà se il suo sacrificio servirà a riaprire il dibattito sui militari malati per l’uranio impoverito.
(articolo pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno, 18 settembre 2012)
Nel 2009 era apparso nell’inchiesta “I Viceré” realizzata da Sigfrido Ranucci e Antonio Condorelli. Nella puntata di Report, denunciava il degrado e l’abbandono del quartiere periferico di Librino. In ricordo di Salvo e delle sue battaglie, posto un estratto di quel video.
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Saul Caia
Tra i riconoscimenti più importanti ho ricevuto il DIG Awards 2017, il premio 'Roberto Morrione' 2012, il premio giornalista emergente in Sicilia 'Giuseppe Francese' 2016.
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